Clausole vessatorie: una tutela reale per il consumatore

Il mercato moderno fa sempre più spesso i conti con la mutata realtà contrattuale. Sempre più diffusi sono infatti i contratti a distanza, caratterizzati dalla predisposizione da parte del professionista di clausole tipizzate, volte ad agevolare la conclusione dell’affare. Si capisce perché il legislatore ha avuto una particolare cura nell’elencare le specifiche clausole che possono “ingannare” il consumatore, troppo spesso distratto e poco consapevole di tutti i risvolti della conclusione di un contratto.

Il codice del consumo, i cui principi sono fissati nel decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206, si impernia sulla relazione intercorrente tra professionista e consumatore nell’ottica di una maggiore consapevolezza e informazione di quest’ultimo in occasione della stipula di contratti o prestazioni di servizi.

In particolare uno degli aspetti salienti del codice del consumatore è rappresentato dall’art 33 del decreto che elenca analiticamente le clausole cosiddette “vessatorie” ossia quelle clausole contrattuali che –come recita l’art 1469 bis codice civile- determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

Originariamente la disciplina delle clausole vessatorie era contenuta nell’art 1469 bis, introdotto dalla legge 6 febbraio 1996 n. 52 e successivamente modificato dal dlgs 6 settembre 2005 n. 206, il quale ha sostituito con l’attuale art 1469 bis gli originari articoli da 1469 bis a sexies.

Attualmente infatti l’art 1469 bis rimanda proprio al codice del consumatore per l’esatta disciplina delle clausole vessatorie.

Le clausole vessatorie, indicate dall’art. 33 del decreto, sono le più varie: quelle che limitano la responsabilità del professionista per danni alla persona del consumatore, che escludono o limitano i diritti di questo in caso di inadempimento del professionista, che riconoscono al solo professionista la possibilità di recesso o impongono clausole penali per il recesso o termini di disdetta eccessivi, che stabiliscono quale giudice competente per le eventuali controversie quello di una località diversa dal domicilio del consumatore.

Va comunque precisato che ai sensi dell’art 34 del codice del consumo non sono vessatorie le clausole che riproducono norme di legge, che siano state frutto di trattativa individuale e che riproducano disposizioni attuative di principi contenuti in convenzioni internazionali delle quali siano parti contraenti gli stati membri dell’Unione Europea.

L’indubitabile difficoltà della prova della trattativa grava interamente sul professionista, onerato della stessa al fine di paralizzare l’azione di nullità del consumatore. Tale prova grava nell’ipotesi molto frequente in cui, i contratti siano predisposti mediante formulari e prestampati: in questo caso opera la presunzione di legge secondo cui il consumatore non ne abbia avuto esatta percezione e pertanto sia il professionista a dover provare che comunque, sebbene predisposto unilateralmente, il contratto sia stato oggetto di trattativa col consumatore.

Sono in ogni caso nulle le clausole che ottengano il risultato della esclusione o limitazione della responsabilità del professionista per morte o danni alla persona del consumatore, o di escludere l’azione del consumatore nei confronti del professionista o di altra parte, in caso di inadempimento totale o parziale del professionista, ovvero di prevedere l’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto di fatto la possibilità di conoscere.

In base ai principi generali in materia di contratto, le clausole vessatorie sono da considerarsi nulle ma il contratto rimane valido per il restante contenuto.

Si ricordi poi che la Cassazione recentemente si è pronunciata in merito alle clausole vessatorie inserite nei contratti aventi ad oggetti corsi professionali, riferendosi in particolare alle clausole che escludono il diritto di recesso del consumatore, o pongono a suo carico penali sproporzionate al recesso, soprattutto quando ciò è conseguenza della modifica unilaterale eseguita dal professionista sul contratto in mancanza di giustificato motivo. (Cassazione Civile, III, del 17 marzo 2010 n. 6481: nel caso affrontato dalla Corte il titolare di un corso professionale aveva unilateralmente e senza giustificato motivo, modificato la sede del corso dopo che questo era iniziato e la quota era stata versata, rendendo più gravosa la fruizione del corso medesimo).

Avv. Carla Trombetta

Studio legale Trombetta

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